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Friday 15 November 2019
Mercati Valutari: prospettive per il 2020 a cura di Paolo Batori, Peter Butler, Pardeep Dhillon, Christian Caruso
bon.cla il 15 Nov 2019 - 17:17 |
In questa nota di approfondimento, che sarà l’ultima del 2019, vogliamo allungare l’orizzonte temporale della nostra analisi, cercando di tratteggiare quelle che potrebbero essere le tendenze macroeconomiche e di mercato del 2020 ed oltre.

A nostro avviso nel prossimo decennio l’investitore dovrà affrontare i mercati con un approccio radicalmente nuovo.
L’evoluzione della politica economica nei prossimi anni potrebbe essere la seguente. Le politiche monetarie non si normalizzeranno, ma piuttosto evolveranno in modo da assorbire lentamente la massa del debito generato nel corso dei decenni, dal momento che la crescita e l’inflazione non sembrano in grado di assicurare una traiettoria di maggiore sostenibilità.
Le politiche fiscali verranno utilizzate per sostenere la crescita, ma probabilmente non in modo keynesiano, ovvero aumentando la spesa pubblica, ma tramite una strategia di redistribuzione della ricchezza, in modo da generare nuova domanda per il consumo e contenere le crescenti pressioni populiste.

L’innovazione sembra essere destinata a trasformarsi in “guerra” della tecnologia, dove i paesi emergenti avranno la possibilità di chiudere il gap nei confronti delle economie sviluppate, beneficiando dei costi decrescenti dei processi d’innovazione e, potenzialmente, acquisendo un ruolo di leadership (es. Cina).
Il capitalismo rimarrà il meccanismo più efficiente di creazione di valore, ma la massimizzazione del profitto dovrà molto probabilmente subire un processo di metamorfosi verso un capitalismo più responsabile nei confronti delle parti sociali e dell’ambiente.

Focalizzandoci ora sul comparto delle divise, si evidenziano due forze contrastanti in campo: da una parte, condizioni di finanziamento molto accomodanti dovrebbero favorire investimenti a più alto rischio; dall’altra, l’incertezza sul commercio internazionale potrebbe causare periodi di volatilità.

Il nostro scenario centrale prevede una crescita globale inferiore al potenziale di lungo periodo, ma corroborata da politiche monetarie molto accomodanti. Tassi bassi generalizzati nei principali paesi sviluppati renderanno la diversificazione valutaria un attraente strumento per migliorare il rendimento prospettico dei portafogli. L’approccio dovrà però essere molto selettivo, come vedremo dettagliatamente nei prossimi paragrafi.

I toni della battaglia sul commercio internazionale iniziata dagli Stati Uniti d’America dovrebbero ammorbidirsi nel breve termine, ma gli effetti benefici della globalizzazione in termini di abbattimento dell’inflazione hanno già raggiunto il loro massimo livello, a nostro avviso. La liberalizzazione del commercio internazionale, materializzatasi durante gli ultimi trent’anni, ha generato un miglioramento dell’efficienza produttiva ed un aumento della ricchezza globale. Purtroppo, la riallocazione geografica del sistema produttivo, combinato con l’avvento dello sviluppo tecnologico a livello mondiale, ha causato una polarizzazione della ricchezza con un conseguente impoverimento della classe media. Ciò ha comportato il rafforzarsi di movimenti sociali e politici avversi alla globalizzazione, destinati a porre un freno di lungo termine al processo di ottimizzazione di utilizzo delle risorse disponibili, con conseguente riduzione della crescita globale potenziale.

Il debito globale ha continuato ad aumentare negli ultimi decenni, raggiungendo livelli potenzialmente poco sostenibili, e rappresentando un ulteriore freno alla crescita globale. Se si osserva la traiettoria del debito totale del sistema economico statunitense (quindi pubblico e privato), si nota che il livello attuale (circa il 325% del PIL) è quasi ai massimi assoluti dell’ultimo secolo e che il debito stesso è praticamente raddoppiato dagli anni ’80 ad oggi. Dinamiche simili si notano anche nel mondo dei paesi emergenti, dove il rapporto fra il debito totale e il PIL è aumentato dal 70% degli anni 2000 all’attuale livello di quasi 140%. È importante però sottolineare che gran parte della responsabilità nell’aumento del debito nei paesi emergenti deve essere attribuito al settore privato, ovvero alle imprese e alle famiglie, mentre gli stati sovrani hanno generalmente attuato politiche fiscali di stabilizzazione del debito pubblico a livelli, a nostro avviso, più che accettabili (circa il 50% del PIL).
L’azione delle banche centrali dovrebbe aiutare a scongiurare un periodo di profondo rallentamento, ma l’economia globale sembra inesorabilmente destinata a operare sotto il livello di crescita potenziale per diversi anni. Le banche centrali dei principali paesi sviluppati hanno implementato politiche monetarie, ortodosse e non, molto aggressive, per neutralizzare gli effetti negativi causati dall’ammontare eccessivo di debito e dalle politiche commerciali protezionistiche.
Purtroppo, dopo un decennio di quantitative easing la crescita rimane ancora anemica e il problema del debito rimane.
I tassi d’interesse sono destinati a rimanere bassi per molti anni, contribuendo sì a condizioni di finanziamento accomodanti, ma costringendo le banche centrali ad adottare ulteriori strategie non ortodosse di politica monetaria. Ad esempio, in assenza di una ripresa economica corposa che migliorerebbe il rapporto debito/PIL grazie al maggiore PIL, le banche centrali sembrano costrette ad attuare politiche monetarie non ortodosse di natura espansiva. Se la sostenibilità del debito non può essere migliorata con un aumento sia della crescita reale che dell’inflazione, si può infatti tentare di raggiungere l’obiettivo riducendo il costo del debito, attraverso tassi bassi per un lungo periodo e riducendo l’onere del rinnovo del debito esistente (quantitative easing per un periodo molto lungo e monetizzazione del debito tramite acquisti di titoli governativi da parte delle banche centrali).

In conclusione, è improbabile che il prossimo decennio sarà caratterizzato da una normalizzazione delle politiche monetarie; piuttosto, ci aspettiamo una possibile radicalizzazione delle politiche stesse nel tentativo di mettere in “sicurezza” il debito pubblico nei bilanci delle banche centrali. La crescita globale sembra essere destinata a rimanere sotto il livello potenziale di lungo periodo dato che l’elevato stock di debito limiterà il potenziale di politiche fiscali espansive.
Nel lungo termine, l’attività economica potrebbe beneficiare di un processo di redistribuzione delle risorse a diversi livelli: inter-generazionale (monetizzazione del debito), geografico (migliori condizioni di finanziamento globale favoriscono lo sviluppo delle economie emergenti, caratterizzate da una maggiore domanda marginale per il consumo) e sociale (politiche fiscali che mirino a ridurre il differenziale tra più e meno abbienti). Però, nel breve termine, si corre il rischio che le diverse aree economiche tentino di accaparrarsi una porzione della crescita globale tramite una svalutazione competitiva delle rispettive divise.

Opportunità d’investimento
Nell’ambito dei paesi sviluppati, ci aspettiamo che il dollaro statunitense sia ancora sostenuto da un differenziale dei tassi favorevole, ma allo stesso tempo un rasserenamento temporaneo nei toni della negoziazione sul commercio internazionale dovrebbe evitare rafforzamenti bruschi del dollaro contro le divise emergenti. Rimaniamo negativi sulla sterlina britannica, data la continua incertezza sulla Brexit e sulla politica interna, che rendono improbabile un rimbalzo dei corsi. Siamo cauti sullo yen giapponese, in quanto il recente rafforzamento causato dalle tensioni USA-Cina è difficilmente sostenibile, mentre restiamo positivi sulla corona norvegese, supportata dalla volontà della banca centrale di normalizzare le politiche monetarie.

Per quanto riguarda l’area emergente, confermiamo un approccio positivo di medio termine e preferiamo una strategia di accumulo. Siamo positivi su rublo russo, real brasiliano e rupia indonesiana. Siamo negativi sul rand sudafricano e cauti su lira turca, zloty polacco e rupia indiana.

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